Sono in detenzione domiciliare da 3 mesi.
Ho solo 19 anni e da quando ne avevo 16 ho iniziato a collezionare simpatici episodi da raccontare ai miei futuri datori di lavoro.
Vivo con mia madre, mio padre e mia sorella in provincia di Milano, in una di quelle realtà poco felici ma estremamente vere. Da noi si respira l’aria della sofferenza il più delle volte associata alla povertà, della violenza accompagnata alla reticenza, da noi le strade sono fredde e vuote, le persone perse e scoraggiate.
“Buongiorno, ora le rivolgo una serie di avvisi. Nella prima parte dovrà rispondere alle domande e dire la verità, se non lo farà commetterà un reato. Nella seconda parte invece, le rivolgerò delle domande sui fatti per i quali è processato e su queste potrà avvalersi della facoltà di non rispondere. Se intende rispondere dovrà farlo per tutte le domande che le rivolgo.
Intende rispondere?”
Il suo viso è dolce e paffuto, il tono pacato e gentile. Nonostante il copione meccanico il suo sguardo mi aiuta a distogliere l'attenzione dagli occhi indiscreti dell'aula affollata.
“Intendo rispondere” farfuglio.
Mi rivolge un leggero cenno col capo e così, dopo la prima parte che mi rinfresca la memoria su chi sono e da dove vengo, proseguo il racconto senza timore.
“Il citofono è suonato alle 17.00 circa, orario in cui sono autorizzato ad allontanarmi da casa mia, luogo di detenzione domiciliare, per andare a calcio." Vorrei parlare della mia passione per il pallone, ma mi rendo conto che divagherei inutilmente.
"La polizia - con cui non ho un bel rapporto, ma questo mi limito a pensarlo - mi ha chiesto di entrare in casa per effettuare un controllo a seguito di una segnalazione dei vicini che lamentavano rumori provenienti dalla mia abitazione.
Ho rifiutato l’ingresso perché non avevano alcun provvedimento che lo giustificasse, ma loro, con la loro solita arroganza, mi hanno spostato dalla porta per non creare intralcio e farsi spazio.”
Il resto è agli atti: mi sono agitato a fronte della visita indesiderata e ho spinto uno di loro contro il muro.
Nel giro di pochi istanti mi hanno ammanettato e portato in caserma e ora eccomi qui, ad una direttissima nel "Tribunale dei grandi" dovuta al loro accanimento mascherato dall' "adempimento di un dovere".
Il pm, le cui palpebre fanno fatica a restare aperte, si rianima quando, su richiesta del Giudice, chiede che mi venga applicata la custodia cautelare in carcere.
Il mio fiato si accorcia, lo stomaco è ingarbugliato e la mia mente mi immagina lì, al freddo, al buio e sempre solo. All'improvviso le strade del mio paese mi sembrano un luogo sicuro e confortevole, quanto vorrei ritornarci immediatamente.
Il mio avvocato chiede che non si applichi alcuna misura.
L’ultima parola è della donna dagli occhi dolci.
“Il Tribunale di Milano, sezione direttissime, dispone l’applicazione degli arresti domiciliari presso l'abitazione dell'imputato e rinvia all'udienza del 24 febbraio 2025 per il processo”.
Che sollievo.
Si torna a casa, nel mio paese che, solo adesso, non mi sembra più così freddo.