“Caro amore mio, come stai?
Qui è buio e il tempo scorre lento. Le mie compagne non sono nulla di che, ci parlo poco e spesso leggo i libri che mi ha portato Carla.
Ti penso ogni giorno da quando ci hanno divisi e di solito piango.
Ripenso a quella mattina e tremo.
Lo volevamo così tanto.. lo abbiamo sempre voluto. Chi non desidera avere una famiglia proprio non lo capisco, sai?
Ripenso alle parole del medico quando, senza troppo tatto, ci comunicó che non avremmo mai potuto avere figli, neppure uno.
Per noi non è stata una questione di scelte, ma un obbligo che la vita ci ha imposto. Il motivo? Eravamo geneticamente incompatibili. Ci credi? I nostri geni non potevano creare alcuna fecondazione e, se miracolosamente fosse successo, non si sarebbe mai trasformato in una vita.
Gli altri non capiscono, dovevamo per forza cercare un’alternativa, elaborare un piano.. qualcosa che ci permettesse di realizzare uno dei sogni più umani del mondo: essere finalmente genitori.
L’ospedale neonatale non era troppo lontano da dove abitavamo, pensavamo che sarebbe stato facile, veloce e indolore. Ti eri preparato, eri uscito e ti eri incamminato verso il reparto. Nessuna domanda né controllo aveva ostacolato il percorso, continuavi a camminare verso la metà sempre più convinto di condurci verso la felicità.
Sei stato bravissimo. Ti ho aspettato al bar dell’angolo e in soli dieci minuti sei arrivato da me, con lei.
Il suo viso così paffuto mi aveva scaldato il cuore. Non sapevo chi fosse ma neppure mi interessava perché finalmente, amore mio, potevo crescere una bambina. Finalmente potevo essere madre, con te, proprio come una vera famiglia!
A casa la sua dolce culla era già pronta da tempo, aspettava solo lei.
È durato troppo poco. Giusto un’ora di tempo e tutto è sfumato per sempre, tra le urla della folla e le manette ai polsi, ti ho perso.
Attenderemo l’esito della perizia psichiatrica che ha disposto il Giudice, sono sicura che potremo abbracciarci di nuovo.
Ti penso, amore mio.
Mi manchi come l’aria.
Tua A.”